Il certificato di malattia è documento che rappresenta la motivazione che giustifica l’assenza del lavoratore dal posto di lavoro per problemi di saluta. Esso dev’essere stilato dal medico curante o da un medico appartenente al Sistema Sanitario Nazionale. Tutti i lavoratori, sia nel settore pubblico che nel settore privato, sono obbligati a presentare il certificato di malattia che giustifichi la loro assenza per un tempo variabile e proporzionale al problema di salute, in caso di assenza. Il lavoratore deve, inoltre, presentare il protocollo identificativo del certificato al datore di lavoro, mentre il medico ha l’obbligo di trasmettere telematicamente il certificato all’Istituto Nazionale Previdenza Sociale (INPS).
L’INPS fornisce ai lavoratori iscritti e agli aventi diritto un servizio dedicato online di ricezione e consultazione dei certificati di malattia e dei rispettivi attestati in formato telematico. L’ex- Decreto legislativo n. 196 del 30 giugno 2003 sancisce che l’istituto di Previdenza può mettere a disposizione degli aventi titolo – nelle specifiche modalità e competenze – i certificati di malattia emessi. Il servizio di consultazione degli attestati di malattia è, dunque, rivolto a:
Tramite il sito INPS, il lavoratore – previa autenticazione di accesso con il PIN identificativo rilasciato dall’Istituto previdenziale stesso – può visualizzare e stampare i propri certificati di malattia, inserendo il numero di protocollo univoco del certificato e il proprio codice fiscale.
L’accesso per i datori di lavoro è permesso tramite l’inserimento del PIN aziendale rilasciato dall’INPS. La ricerca può essere effettuata tramite il numero di protocollo del certificato di malattia o tramite il codice fiscale del dipendente, oppure tramite cognome del dipendente potendo, così, visualizzare e scaricare la lista degli attestati telematici di malattia.
Per chi non può accedere telematicamente, il servizio è disponibile anche telefonicamente al numero 803 164 per i telefoni da rete fissa o 06 164 164 per i cellulari, inoltrando la richiesta tramite operatore del Contact Center.
La consultazione telematica degli attestati di malattia è utile al datore di lavoro per rendersi conto della posizione del proprio dipendente relativamente ai permessi richiesti per malattia, così come al lavoratore stesso per richiedere eventuali rimborsi soprattutto se il certificato è stato emesso in seguito a cure per infortuni sul lavoro; però trattandosi di dati sensibili, bisogna avere cautela con la privacy.
È importante compilare correttamente il certificato in quanto un’errata compilazione potrebbe comprometterne la validità. Il medico, ovviamente, conosce gli elementi che compongono un certificato, ma poiché può capitare di sbagliare, non è inutile conoscere i requisiti di validità dello stesso, al fine di risparmiarsi scocciature in futuro. Ovviamente, vanno inseriti tutti i dati che portano all’identificazione del lavoratore come: cognome, nome e codice fiscale, dopodiché è necessario l’inserimento dell’esatta prognosi della malattia e l’indicazione dei giorni di assenza dal lavoro, con riferimento al luogo e alla data di compilazione, nonché all’esatta data in cui inizia la malattia fino alla data in cui essa continui. Al certificato così compilato, vanno apposti timbro e firma del medico curante, l’indirizzo completo e l’esatto domicilio del lavoratore dove seguiranno le visite mediche fiscali.
Se alcuni di questi elementi dovessero essere errati o assenti, il certificato non ha alcuna validità e, per tanto, il lavoratore rischia l’omessa motivazione dell’assenza al lavoro, che sfocia nell’assenza ingiustificata. Le conseguenze di questo sono in capo al datore di lavoro, che può optare per vari provvedimenti disciplinare, finanche al licenziamento.
La sentenza della Cassazione n. 2367 del 31 gennaio 2018 ha stabilito che si configura la violazione della privacy se il medico fiscale esplicita la diagnosi nel certificato di malattia destinato al datore di lavoro. Sebbene la violazione c’è, la Corte non prevede il risarcimento dei danni.
La sentenza parte proprio dalla normativa di riferimento sugli attestati (D.M. del 15 luglio 1986) dalla quale si evince che è imposta la riservatezza del medico fiscale nell’atto di redigere il referto da consegnare in copia al datore di lavoro occultando la diagnosi e ogni riferimento a visite specialistiche che possono lasciar intendere una diagnosi.
La sentenza della Cassazione, tuttavia, non prevede il risarcimento dei danni al paziente, perché affinché questo sussista si deve dimostrare che la condotta del medico fiscale ha avuto conseguenze concrete o provocato un danno effettivo al lavoratore.
Nel caso specifico, infatti, che ha prodotto la sentenza in Cassazione, il lavoratore ricorrente, oltre a lamentare l’esplicito riferimento diagnostico da parte del medico, lamentava anche l’atteggiamento diffidente, persecutorio ai limiti del mobbing da parte dei colleghi e persino dei parenti venuti a conoscenza delle visite mediche e specialistiche prescritte. La Cassazione ha, però, ritenuto in questo caso che il danno subito non fosse direttamente ascrivibile al medico fiscale, ma alla divulgazione avvenuta successivamente da parte del datore di lavoro. Poiché il ricorrente aveva contestato il ruolo del medico, la Cassazione non ha potuto addebitare a questo il risarcimento dei danni. Se, invece, il dipendente avesse sporto denuncia al datore di lavoro, la sentenza sarebbe potuta essere diversa sottolineando il tema della responsabilità nei casi di violazione della privacy.
Poiché il tema della responsabilità è giuridicamente sviluppato in modo frammentario e tecnicistico non è ancora possibile parlare di risarcimento dei danni per riconosciuta violazione della privacy, ma allo stesso tempo, la sentenza ha creato un precedente che deve porre i datori di lavoro e chiunque entri in contatto con i dati sensibili della persona in una posizione di massima cautela.
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