L’istituto della revocatoria fallimentare viene definito dal Decreto Legge n. 35/2005 e successive modifiche (D. lgs. n. 5/2006; D. lgs. n. 169/2007; D.Lgs. n. 83/2012 divenuto legge n. 134/2012, il D. lgs. n. 18/2015 e infine la Legge 2681/2017).
L’azione di revocatoria fallimentare è uno strumento previsto per la “tutela” del patrimonio del fallito, ma a favore e nell’interesse della soddisfazione dei creditori, affinché i creditori stessi non debbano subire eccessive conseguenze e ulteriori perdite, ma poter rientrare in pieno possesso di quanto spettante e in loro diritto. La revocatoria consiste, nella pratica, nel rendere inefficaci gli atti (vendite, dismissioni immobiliari e altro) eseguiti dal fallito nel periodo precedente la dichiarazione di fallimento, violando consapevolmente il principio di par condicio creditorum.
Accade spesso, che in prossimità di una bancarotta – che sia fraudolenta o meno – il fallito metta in atto una serie di azioni per “liberarsi del proprio patrimonio” – affinché non vi resti più nulla a pretendere da parte dei creditori; l’istituzione della revocatoria fallimentare ristabilisce il patrimonio del fallito, annullando ogni atto precedente, per poter utilizzare lo stesso patrimonio per saldare i debiti. La revocatoria fallimentare pone, però, il problema della tutela degli “attori terzi”, coloro che hanno acquisito beni – anche legittimamente – durante la fase pre-fallimentare e inconsapevoli che si trattasse di una “svendita” fallimentare. Analizziamo con questa guida, tutte le fasi e gli aspetti che caratterizzano la revocatoria fallimentare.
Come abbiamo detto, per azione revocatoria si intende un atto del curatore fallimentare di un’azienda e rappresenta la vera e propria ricostituzione del patrimonio di chi ha dichiarato fallimento. Detto questo, quindi, ci sono dei termini entro cui agisce la cosiddetta azione revocatoria. Vale a dire che il curatore fallimentare può “inibire” ogni pagamento e ogni garanzia costituita dall’imprenditore, rendendo dunque ogni azione inefficace, con un gap temporale che va da 12 a 6 mesi prima del fallimento stesso.
Questa finestra temporale viene definita “periodo sospetto” e durante questa fase il curatore può stabilire che chi ha ricevuto dei pagamenti dal fallito debba restituirli, sempre al fine di ricostituire il patrimonio. La legge, in ogni caso, stabilisce che questa revoca può esercitarsi se chi ha ricevuto il pagamento era a conoscenza dello stato di insolvenza del fallito. In questo caso l’atto (il pagamento o la garanzia) si considera praticamente senza alcun valore. Per tornare ai termini temporali dell’azione revocatoria, essa va esercitata entro dei tempi molto precisi, per non incorrere nel rischio della prescrizione. La revoca fallimentare va infatti esercitata al massimo entro 3 anni dal fallimento e in ogni caso non oltre i cinque anni dall’atto.
La normativa vuole così tutelare e proteggere il patrimonio aziendale, facendo in modo di provare a ricostituirlo, senza tuttavia tralasciare i diritti dei creditori. Che significa? In poche parole che può anche accadere che l’imprenditore che stia per fallire decida in modo discrezionale di assolvere soltanto alcuni pagamenti piuttosto che altri o anche di tentare di spostare il patrimonio dell’azienda altrove, così da non saldare tutti i debiti. D’altro canto, la legge fallimentare parte anche dal presupposto che ci siano dei casi di imprenditori in difficoltà in totale buona fede. Ecco perché, ci sono atti che non possono essere soggetti all’azione revocatoria e atti che possono essere al contrario revocati, sempre secondo quanto stabilito dalla normativa vigente.
La tutela del patrimonio del fallito tramite la revocatoria fallimentare si applica a determinate condizioni.
Innanzitutto, la figura legittimata a esercitare l’azione revocatoria è il curatore fallimentare che propone la revocatoria in sede di Tribunale, lo stesso che ha dichiarato il fallimento. La revocatoria può essere invocata entro 3 anni dalla dichiarazione di fallimento e non oltre 5 anni dal compimento dell’atto (altrimenti si incorre nei termini di decadenza). La revocatoria è retroattiva da sei mesi a un anno prima del fallimento, vale a dire che si possono rendere inefficaci tutti gli atti, le disposizioni, i pagamenti e le garanzie poste in essere dal fallito da sei mesi a un anno prima del fallimento (denominato “periodo sospetto”). Gli atti possono essere resi inefficaci salvo nei casi in cui la terza parte coinvolta riesca a dimostrare inconfutabilmente che non era a conoscenza dello stato di insolvenza del debitore. In ogni caso, qualora la terza parte coinvolta – per effetto della revocatoria – è tenuta alla restituzione di quanto ricevuto dal debitore – viene a sua volta iscritto tra i creditori e ammesso al passivo fallimentare per l’ottenimento del proprio credito.
La legge distingue gli atti posti in essere dal fallito in:
Per atti a titolo gratuito si intendono le rinunce, le remissioni e gli adempimenti di debiti altrui a prescindere dalla forma giuridica ed effettuati nei due anni precedenti la dichiarazione di fallimento; sono esclusi dal titolo di gratuità i regali o gli atti compiuti per dovere morale. In tutti questi casi, la revoca è ope legis.
Gli atti a titolo oneroso si distinguono a loro volta in 4 categorie per le quali si applica l’azione revocatoria nell’anno o nei sei mesi antecedenti il fallimento e si tratta di:
Gli atti emessi a titolo oneroso sono tutti revocabili salvo nei casi in cui la terza parte contraente dimostra di non essere a conoscenza dello stato di insolvenza del debitore, ciò presuppone il requisito soggettivo di conoscenza dello stato della società (o scientia decoctionis) da parte dei terzi creditori. La prova e la dimostrazione dell’inconsapevolezza del terzo creditore grava sul curatore fallimentare. La conoscenza dell’insolvenza del debitore può essere presunta in base a indizi precisi quali le notizie sui giornali, i protesti in tribunale, l’attività di business investigation e simili.
Infine, esistono tipologie di revocatorie speciali relativamente ai patrimoni destinati a un determinato affare, pagamenti di cambiali scadute, atti fra coniugi.
Ci sono atti che il fallito compie senza che questi possano essere soggetti all’azione di revocatoria. Si tratta di sette categorie specificate nel modo seguente:
Un’ottava categoria di “esenzione” dalla revocatoria – introdotta dall’art. 67 della Legge fallimentare – riguarda l’emissione e le operazioni di credito fondiario e su pegno, salvo le eccezioni previste dalle singole normative speciali.
Nell’ambito delle procedure fallimentari, il curatore può fare richiesta di un’azione revocatoria ordinaria che consiste nel dichiarare inefficaci gli atti compiuti dal debitore in fallimento in pregiudizio a tutti i creditori in base alle norme del codice civile. Per richiedere la revocatoria ordinaria secondo l’art. 2901 del C.C. occorre che sussistano i seguenti requisiti:
La revocatoria ordinaria tutela indistintamente gli interessi di tutti i creditori del fallito sia precedenti che successivi all’atto revocato.
Nell’ambito delle revocatorie speciali, rientrano gli atti redatti tra moglie e marito nel periodo precedente il fallimento. Gli atti tra coniugi si reputano revocabili – anche quelli compiuti a titolo gratuito – entro i due anni precedenti il fallimento purché uno dei due coniugi esercitasse l’attività di impresa poi fallita. L’atto può non essere revocato solo nel caso in cui il coniuge non fallito riesca a dimostrare di essere inconsapevole dello stato di insolvenza e della posizione debitoria del coniuge.
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