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Sul n. 2 e 3 di dicembre 2018 della rivista specialistica “Economia Italiana” viene pubblicato un articolo a cura di Tito Boeri (allora Presidente dell’Inps, la carica è terminata il 16 febbraio 2019) e l’economista Pietro Garibaldi, in cui si tirano le prime somme sugli effetti del Jobs Act sul mercato del lavoro italiano.

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Il Jobs Act è la riforma sul lavoro varata nel 2015 e che introduce tra le altre novità il contratto a tutele crescenti per i neo assunti a tempo indeterminato. Ma quali sono gli effetti che nel complesso questa manovra con l’introduzione di diverse novità ha comportato sullo stato dell’occupazione in Italia?

Che cos’è il Jobs Act

Jobs Act è l’acronimo di Jumpstart Our Business Startups Act, la legge di ispirazione statunitense volta a favorire e stimolare l’occupazione nelle imprese. In Italia indica una sostanziale riforma del diritto del lavoro attraverso un insieme di provvedimenti legislativi varati nel biennio 2014 – 2015 con l’intento di mantenere flessibile il mercato del lavoro pur stimolando i contratti a tempo indeterminato.

Tra gli effetti documentati del Jobs Act si riscontra da un lato l’incremento della mobilità delle imprese aventi tra i 10 e 20 operai e dall’latro un incremento delle assunzioni a tempo indeterminato nelle imprese con più di 15 dipendenti con conseguenze diminuzione del tasso di occupazione. Aumenta anche il tasso di conversione dei contratti da tempo determinato a tempo indeterminato in coerenza con il principio di protezione dell’impiego.

Cosa rileva lo studio della nuova riforma

La riforma che introduce il contratto a tutele crescenti per i neo assunti è stata accompagnata dalla contestuale decontribuzione pari a 24.000 € per ogni assunto a tempo indeterminato nel triennio 2015-2017. Gli effetti sperati di un aumento dell’occupazione sono confermati dai dati ISTAT che tra il 2015 e il 2017 hanno registrato un aumento di 800 mila nuovi posti di lavoro: il primo anno di applicazione della norma, il 2015, è stato protagonista nell’aumento dei contratti a tempo indeterminato, mentre i due anni successivi hanno fatto registrare un incremento dei contratti a tempo determinato.

L’arco di tempo intercorso ha permesso di raccogliere i dati in modo scientifico per giungere a delle conclusioni confortate dalle stesse evidenze scientifiche di misurazione e statistica. I risultati dello studio rivelano che la mobilità delle imprese sotto o intorno alla soglia dei 15 dipendenti è aumentata, passando da 10.000 unità al mese prima della riforma a circa 12.000 unità al mese nei 15 mesi successivi l’entrata in vigore della riforma (7 marzo 2015).

Dati al netto degli effetti della decontribuzione. Se da un lato il dato può sembrare negativo e spiazzante, in realtà nasconde il fatto che sia stato di stimolo verso il cambiamento di dimensione dell’impresa, maggiormente incentivata. Contestualmente al dato dell’aumento di mobilità, si riscontra un aumento del tasso di cambiamento delle dimensioni aziendali. L’indice, infatti, è aumentato del 4% dopo marzo 2018; ‘indice che descrive la probabilità che un’azienda cambi posizione e classe dimensionale in un dato intervallo temporale si chiama indice di Shorrock, il cui valore è un numero compreso tra 0 e 1.

I risultati più interessanti riguardano, tuttavia, gli effetti della riforma sulle assunzioni a tempo indeterminato: le imprese )sopra la soglia dei 15 dipendenti e quindi che possono operare con maggior flessibilità) che dopo marzo 2015 hanno aumentato le assunzioni a tempo indeterminato sono il 50% in più rispetto a quelle di piccole dimensioni, indipendentemente dalla decontribuzione che su applica indifferentemente sia alle piccole, medie e grandi imprese.

Le stesse differenze di comportamento delle imprese a seconda delle loro dimensioni vengono riscontrate anche quando si analizzano le conversioni dei contratti a termine in contratti a tutele crescenti e sui licenziamenti. Il risultato speculare dei licenziamenti è simile, perché si sono registrati nel triennio in esame un aumento dei licenziamenti in circa il 50% delle grandi imprese rispetto alle piccole imprese.

Il risultato più evidente, in sostanza, dell’introduzione del Jobs Act è un generale incremento della flessibilità e mobilità nel mondo del lavoro.

I sostenitori della riforma sottolineano come le nuove forme contrattuali e gli incentivi abbiano aumentato le assunzioni, allo stesso tempo i detrattori della riforma denunciano un aumento dei licenziamenti, ma in buona sostanza sia i sostenitori che i detrattori hanno ragione stando ai risultati delle analisi, anche se l’indagine rivela anche che l’aumento delle assunzioni sia tuttavia maggiore rispetto all’aumento dei licenziamenti e che quindi il tasso di occupazione totale nel triennio 2015-2017 in esame è sostanzialmente aumentato.

La normativa che tutela il lavoratore: diritti e doveri

Sebbene vi siano dei furbetti che aggirano le regole, la legislazione del lavoro esiste ed ha assunto come obiettivo principale quella di garantire una tutela totale al lavoratore. Il lavoratore è di fatto la componente più debole nei rapporti lavorativi, motivo per cui in questo paragrafo daremo una panoramica di quali sono i punti principali. Da una storia che nasce con l’ingresso nella società della classe operaia, ne è derivata l’affermazione di una serie di diritti per il lavoratore. Tra questi approfondiremo tre punti, relativamente all’orario di lavoro e ai giorni di riposo:

  • la retribuzione;
  • Il secondo punto prevede un orario li lavoro che tenga al contempo conto dei diritti umani, secondo cui esistono orari di lavoro al di fuori delle possibilità fisiche e psicologiche di ogni essere umano. 
  • Il riposo settimanale è un altro punto su cui bisogno assolutamente, laddove non fosse previsto, rivendicare la propria autorità. Ogni sette giorni vi deve essere un periodo di riposo di almeno 24 ore consecutive, ovvero dopo 6 giorni di lavoro vi è un giorno di riposo. 

Il Licenziamento nel Jobs Act

Il Jobs Act reca anche disposizioni relativamente la materia del licenziamento nei contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti, introducendo un regime di sanzioni per licenziamenti illegittimi di lavoratori assunti a tempo determinato a partire dal 7 marzo 2015. A dicembre 2022, in sede di approvazione della legge di bilancio 2023, è stato proposto un emendamento da parte dell’opposizione per modificare la disciplina dei licenziamenti con lo scopo di rafforzare le tutele del lavoratore nei casi di licenziamento illegittimo.

In materia di licenziamento, il Jobs Act allo stato attuale prevede che:

  • In caso di licenziamento illegittimo per motivo giustificato da ragioni soggettive o giusta causa – definito anche licenziamento disciplinare – si applica la tutela reale ovvero la reintegrazione nel posto di lavoro se viene dimostrato in giudizio l’inesistenza del fatto contestato al lavoratore. Il datore di lavoro, in caso di illegittimo licenziamento, è condannato al versamento di una indennità a titolo risarcitorio che non può superare le 12 mensilità dall’ultima retribuzione. In tutti i casi in cui non si può applicare la tutela reale, si applica la tutela obbligatoria, vale a dire che il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro al momento del licenziamento, ma condanna il datore di lavoro al versamento di un’indennità crescente in rapporto agli anni di anzianità di servizio del lavoratore a partire da un minimo di 6 a un massimo di 36 mensilità.
  • In caso di licenziamento illegittimo per motivo oggettivo giustificato o “licenziamento economico” non sono previste tutele reali e il giudice del lavoro dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento, condannando il datore di lavoro al pagamento di una indennità a favore del lavoratore in base all’anzianità di servizio, adottando la tutela obbligatoria, indennizzando un minimo di 6 a un massimo di 36 mensilità.

Le sanzioni si applicano ai datori di lavoro – imprenditori e non – che hanno alle proprie dipendenze in un ufficio o sede o stabilimento più di 15 lavoratori (5 in caso di imprenditore agricolo) o più di 15 dipendenti nello stesso comune o territorio e in ogni caso ai datori di lavoro con più di 60 dipendenti.

Autore: Laura Perconti

Immagine di Laura Perconti

Laureata in lingue nella società dell’informazione presso l'Università di Roma Tor Vergata, Laura Perconti segue successivamente un Corso in Gestione di Impresa presso l'Università Mercatorum e un Master di I livello in economia e gestione della comunicazione e dei nuovi media presso l'Università di Roma Tor Vergata.